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Collezioni Pietre

Ape

L’Ape è da sempre una fonte inesauribile di simboli mitologici, esoterici, politici e religiosi. E’ parte di una società strutturata ed efficiente. Instancabile, il suo ruolo – che già i Romani definivano fructuosus – è lavorare per il benessere dell’alveare, della comunità. Il suo lavoro incessante trasforma il polline in miele da cui in antichità si ricavava l’ambrosia, bevanda sacra in numerose culture e produce la cera, utilizzata per la fabbricazione di oggetti rituali e sacri. La consuetudine di sparire durante i mesi invernali e di ricomparire a primavera ha reso l’Ape l’emblema della rigenerazione, del ciclo eterno della vita fatto dall’alternarsi di morte e rinascita. Alla simbologia antica possiamo oggi aggiungere il ruolo dell’Ape quale straordinario indicatore biologico, dal momento che segnala il danno chimico dell’ambiente in cui vive e di conseguenza i rischi per l’uomo.

Da un anello frammentario romano di epoca imperiale in lamina d’oro con corniola incisa. I-III sec. d.C. – Yale University Art Gallery

Formica

Sia per gli antichi Greci che per i Romani la Formica era considerata sacra. I primi adoravano la dea Myrmex, con sembianze di Formica, i secondi la dea Cerere, di cui la Formica era il principale attributo. Simbolo di duro e instancabile lavoro per il bene comune, la Formica è dotata di grande forza fisica e di elevata resistenza a servizio dell’intera comunità. La Formica rappresenta la promessa del successo che arriva attraverso l’impegno.

Da un intaglio romano in diaspro rosso. I-III sec. d.C., Collezione Privata

Granulazione

Granulazione Etrusca

Le tombe etrusche del VII sec. a.C. ci hanno restituito preziosi monili con dettagli a granulazione, tecnica antica già conosciuta dal II millennio a.C., introdotta nell’Italia tirrenica da artigiani orientali, responsabili della trasmissione di una nuova cultura figurativa, nota come Orientalizzante.
La tecnica della granulazione consisteva nella saldatura su lamina di minuscole sfere disposte a formare motivi geometrici e schemi figurativi. Dopo la colonizzazione romana dell’Etruria questa tecnica via via scomparve insieme alle conoscenze che ne permettevano la realizzazione. Nonostante i numerosi tentativi di recupero della tecnica già in antichità, non si è più riuscita a raggiungere l’eccellenza degli orafi etruschi.

Dalle tombe Bernardini e Barberini di Palestrina. Seconda metà del VII sec. aC., Roma, Museo di Villa Giulia

Grezza

Intarsi Rinascimentali e Pavimenta

Negli ultimi decenni del Cinquecento a Roma si afferma il gusto per le policromie marmoree che si manifesta con tutta la sua forza espressiva nella decorazione di un numero assai ampio di spazi sacri.
La scelta figurativa legata alle tarsie marmoree da una parte è fortemente legata alla tradizione passata, dall’altra si assiste invece ad una spinta innovatrice verso forme e tipologie del tutto originali: le potenzialità infinite offerte dai marmi di origine archeologica affiancati ai marmi di nuova estrazione permisero di creare nuove e variegate combinazioni cromatiche.
L’impiego di marmi multicolore per le pareti, per l’arredo e i pavimenti si articola in figure geometriche semplici e complesse con l’inserimento di movimenti curvilinei e forme figurative legate al mondo della simbologia araldica e religiosa. Al marmo bianco, impiegato per la sottolineatura di quel che rimaneva della struttura originaria, viene affidato il compito di scandire le superfici e contornare gli spazi, mentre ai marmi colorati, impiegati a profusione, si affida il ruolo di disarticolazione dello spazio.

Intreccio

La Scultura ad Intreccio Medievale
La decorazione a intreccio, già utilizzata nell’arte classica e prima ancora nell’antica arte orientale, ma solo come elemento di contorno, diventa uno dei principali motivi ornamentali nella tarda antichità, quando gli elementi naturalistici vengono via via messi da parte a favore di una ornamentazione puramente decorativa e geometrica. La tendenza all’ordine rigoroso delle forme, che sarà tipico dell’arte di epoca carolingia, era già presente nella scultura italiana dell’ultimo periodo longobardo e venne favorita dall’orientamento iconoclasta di quel periodo che in ambito religioso favoriva il decorativo astratto a scapito della rappresentazione della figura umana.

Dalle lastre di tarda epoca longobarda e carolingia conservate presso il Museo Cristiano di Cividale, la Basilica Patriarcale e il Museo di Monastero ad Aquileia, VIII secolo

Marmo

I Marmi Antichi

Durante il periodo tardo-repubblicano (II-I secolo a.C. ) e più ancora durante l’Impero Romano (I secolo d.C.) nella capitale si diffuse l’uso del marmo policromo per decorare gli edifici pubblici e privati. Ingenti quantità di marmi pregiati confluirono a Roma da tutti i territori controllati. Il porfido rosso, il verde serpentino, il giallo antico e il pavonazzetto, venivano tagliati in lastre e lavorati in modo da ottenere intarsi marmorei (opus sectile) per pavimenti e pareti.
Con la crisi economica dell’impero e l’affermazione del Cristianesimo gli edifici antichi vennero via via spogliati dei rivestimenti marmorei, data anche la difficoltà di approvvigionamento del prezioso materiale e divennero una cava inesauribile di marmi policromi reimpiegati nei palazzi e nelle chiese di Roma.
Il termine “marmo” deriva dal greco marmaros, con il significato di “pietra splendente”.

Menelao

Menelao è un eroe della mitologia greca e uno dei personaggi principali dell’Iliade di Omero. Re di Sparta, marito di Elena, eroe della guerra di Troia, nei testi omerici Menelao viene esaltato per la sua grande bellezza e il valore in battaglia.
Il busto qui riprodotto, copia romana del II secolo d.C., venne ritrovato a Villa Adriana, Tivoli, alla fine del XVIII secolo e acquistato da Papa Clemente XIV per i Musei Vaticani dove ancora si trova.
Si conoscono varie copie del medesimo soggetto che fa parte del cosiddetto Gruppo del Pasquino e rappresenta Menelao che sostiene il cadavere di Patroclo. Oltre al frammento visibile oggi in Piazza Pasquino ritrovato presso il vicino Stadio di Domiziano, ora Piazza Navona, sono note altre repliche conservate a Firenze: la copia di Palazzo Pitti, rinvenuta presso il Mausoleo d’Augusto e quella della Loggia dei Lanzi nell’area di Porta Portese, presso i Giardini di Cesare.

Mosaico

I pavimenti ebbero origine in Grecia e furono abbelliti con arte analoga alla pittura”, Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXVI,184

Il Mosaico, in latino opus tesselatum, prevede l’assemblaggio di frammenti multicolori chiamati tessere, in latino tessella. Le tessere, piccoli cubetti di dimensione uniforme di pietra, marmo, vetro, ceramica o altro materiale duro, vengono disposte per formare motivi ornamentali o geometrici. Molto diffusa è l’alternanza di questa tecnica con quella detta “opus sectile“, che prevede l’utilizzo esclusivo di lastrine di marmo. Un esempio di alternanza di questi due metodi si può trovare nella basilica di San Marco a Venezia. I primi esempi di pavimenti in opus tesselatum omogeneo a tessere regolari risalgono agli inizi del II sec. a.C.
A partire dalla fine del I secolo a.C.un rinnovato repertorio ornamentale prende il sopravvento: il mosaico bianco e nero diventa infatti la tecnica prevalentemente utilizzata in Italia fino alla metà del II secolo. Le ragioni sono principalmente di ordine economico: per le composizioni venivano utilizzate tessere di soli due colori e la messa in opera richiedeva una minore specializzazione rispetto all’opus sectile.

Omonoia

La parola greca Omonoia esprime il vincolo naturale e legale alla base di una comunità e che ne permette la convivenza civica. Sulle monete ellenistiche e quelle romane di età imperiale, Omonoia viene personificata da Concordia, divinità romana simbolo dell’unione politica, o anche degli affetti famigliari. Su altri monili romani di epoca imperiale è anche rappresentata con una dextrarum iunctio, due mani intrecciate in segno di accordo, con la scritta OMONOIA, oppure la semplice iscrizione.

Da un anello in oro di epoca bizantina con agata incisa. V secolo, Collezione Privata

Opus Sectile

Le decorazioni pavimentali formate dall’accostamento di lastrine di pietre calcaree, marmi o laterizio, disposte a formare – per contrasto cromatico – un disegno più o meno complesso, vengono definite dagli autori antichi sectilia pavimenta.
I sectilia pavimenta più antichi sono composti da lastrine di piccole dimensioni di materiali non marmorei, bianchi, neri o grigi, grigio-verdi, rossi, bruni e compaiono agli inizi del I sec. a.C. Gli esemplari più antichi sono quelli formati da gruppi di tre rombi di colore diverso, accostati a formare un esagono, con effetto tridimensionale di “cubi prospettici”, come nella Casa dei Grifi sul Palatino e nel Tempio di Apollo a Pompei.
A differenza del mosaico (opus tessellatum), l’opus sectile non usa piccole tessere geometriche ma intaglia pezzi di marmo più grandi, scelti per colore, opacità, brillantezza e sfumature delle venature, creando composizioni di rombi, triangoli e quadrati, che trovano precisa rispondenza nella coeva produzione in tessellato.

San Miniato al Monte

La Basilica di San Miniato al Monte, eretta tra l’XI e il XIII secolo in una posizione collinare particolarmente suggestiva, è considerata tra i capolavori dell’architettura romanica fiorentina.
Al suo interno, i pavimenti, che risalgono al 1207, presenta intarsi marmorei in bianco e nero di gusto orientalizzante e di grande pregio, con motivi geometrici e zoomorfi spesso legati ad animali di fantasia, ispirati ai tessuti provenienti dal Mediterraneo meridionale orientale e sempre racchiusi entro una cornice geometrica. Figure geometriche e fiori stilizzati, leoni e unicorni rampanti, falchi e colombe, la ruota dello Zodiaco conducono, come un tappeto, dalla porta d’ingresso al centro della navata centrale.
E’ molto probabile che i pavimenti furono realizzati dagli stessi maestri che lavorarono nel Battistero di San Giovanni.

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